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Controllo di Gestione: gli obiettivi vanno centrati…”centrando”​ prima sé stessi

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Qualcuno di voi, anche solo per curiosità, ha provato mai ad osservare con attenzione il lead time di un’azienda cliente. La faccio più semplice e mi limito semplicemente ai processi produttivi (tralasciando quindi il tempo legato alla presa d’ordine nonché alla consegna finale del prodotto finito): qualcuno ha mai provato anche solo a seguire (senza per carità calcolarne i tempi) il percorso che va dal prelievo delle materie prime sino allo stoccaggio del prodotto finito in magazzino? Perché dico questo? Mi spiego subito. Leggo un po’ ovunque la grande incertezza in merito alla riforma che ha rivisto nella sua totalità la gestione legata alla crisi d’impresa. In tanti sono dubbiosi (come dar loro torto?) sui reali benefici che potrebbe apportare. Leggo poi tante obiezioni (non posso biasimare nessuno) in merito alla fragilità del nostro tessuto economico. Leggo tanti “MA” e ne riporto alcuni a titolo di esempio:

  • MA il mio cliente è piccolo;
  • MA il mio cliente ha 70 anni di età;
  • MA il mio cliente ha 11 dipendenti con un fatturato di 500.000 euro;
  • MA il mio cliente con gli alert sicuramente chiuderà;
  • MA il mio cliente ha grandi problemi di liquidità dovuti alla crisi.

ecc.ecc.

Vorrei concentrarmi però sull’ultimo, molto diffuso, aspetto: la crisi di liquidità. Quand’è che un’azienda va in “debito d’ossigeno”? Le cause sono molteplici e vanno dallo sfasamento temporale tra incassi e pagamenti, al mancato incasso di crediti, passando per una bassa rotazione di magazzino (con rischio di obsolescenza e/o slow moving) o ancora un forte indebitamento a breve, piuttosto che a mancate vendite o ancora ad investimenti difficilmente supportabili e via discorrendo. C’è una causa però che in pochi riportano e che si ripete quasi sempre quando nascono problemi di questo genere: il margine di contribuzione insoddisfacente!

Con il passare degli anni s’è cronicizzata l’esigenza di ricorrere al credito per poter garantire la continuità aziendale. Una condizione che si è incancrenita ed ora è impensabile immaginare un’azienda per piccola che sia, anche sana, che non abbia “relazioni” almeno con cinque istituti di credito diversi (dico per dire). La domanda che mi e vi pongo è questa: ma il concetto di autofinanziamento dov’è finito? Rimane sui testi universitari al pari di quelle particolari teorie di politica economica che mai si avverano?

Le aziende nostrane, soprattutto le più piccole, non sono spesso in grado di generare ricchezza dalle loro produzioni/erogazioni. Ciò più semplicemente si origina da un prezzo di vendita che non copre tutti i costi e se i costi non sono coperti, succederà che le uscite saranno maggiori delle entrate, tutto qui! Problema semplicissimo e chiarissimo che non viene quasi mai affrontato alla “radice”, ma si attendono gli effetti “tanto poi c’è la banca che ci mette i soldi e tutto si risolve no?…forse no.”

Provo a riagganciarmi al concetto iniziale: avete mai seguito il processo di realizzazione del prodotto di un vostro cliente (magari in crisi di liquidità)? Non bisogna essere degli esperti credetemi. Provo a fare alcuni esempi riferiti alle imprese manifatturiere ma replicabili anche più genericamente alle aziende di erogazione servizi:

  • Magazzini di materia prima disordinati, mancanza di etichette che possano classificare i componenti presenti. Assenza di una corretta gestione degli stessi, delle giacenze, di scorte di sicurezza. Gestione ad occhio (non “a vista”, quella già sarebbe un’altra cosa) dei riordini con elevato rischio di errore;
  • Magazzini posti in luoghi periferici rispetto la produzione, con elevata distanza di movimentazione delle materie/componenti;
  • Superficiale controllo di qualità delle materie/componenti ordinate. Elevato rischio di “infettare” la qualità del prodotto/semilavorato da realizzare in caso di scarsa qualità non rilevata delle materie/componenti;
  • Continue rilavorazioni dei semilavorati/prodotti finiti dovuti ad errori di ogni tipo, che provocano continue interruzioni nel processo produttivo;
  • Elevata presenza di scarti, elevato costo della non qualità;
  • Continui fermi macchina dovuti a rotture e soprattutto dovuti a mancanza di una manutenzione programmata (o mancanza di manutenzione e basta);
  • Elevata movimentazione di materie/semilavorati lungo la catena produttiva;
  • Elevato numero di polmoni intermedi;
  • Mansioni non ben inquadrate. Elevata manualità delle operazioni laddove si potrebbe sfruttare meglio la presenza dei macchinari;
  • Presenza di “n” operai lì dove sarebbe possibile averne “n-1” o “n-2” e così via;
  • Elevati pezzi (prodotti finiti) difettosi. Elevata gestione delle rilavorazioni/sostituzioni in garanzia.
  • Ecc.ecc

Potrei continuare sulla mancanza di listini corretti, sulla mancanza di conoscenza del reale costo di trasformazione, sull’incapacità di definire i corretti preventivi di vendita, sulla totale assenza della ricerca delle cause legate alle dispersioni e via discorrendo, ma non è ora il momento per discutere di questi ulteriori aspetti. Chiaramente tutte le inefficienze elencate si traducono quasi immediatamente in “denaro contante” giorno dopo giorno letteralmente bruciato! A questo spreco di denaro chi presta attenzione? Probabilmente pochi se non addirittura nessuno.

Si sente parlare molto in giro di programmazione dei flussi finanziari, budget, sostenibilità del debito proprio in merito alla riforma della crisi d’impresa (mi chiedo: ma prima non era corretto fare queste cose a prescindere da una legge?) e mi chiedo cosa ci sia da programmare o meglio, cosa ci sia da sperare in un futuro “pronosticato” a tavolino se le premesse sono quelle riportate sopra?

Mi permetto di dire io a questo punto un “MA” ed è il seguente:

“ma se l’azienda fosse gestita con un po’ più di oculatezza dall’interno, in modo da comprimere il costo di trasformazione e liberare ricchezza, riuscendo autonomamente a risollevare la propria condizione di illiquidità (affiancando anche ulteriori azioni correttive se necessarie), quanti di tutti i “MA” (obiezioni) che ho elencato poc’anzi avrebbero ragione di esistere? Quanta importanza avrebbero gli istituti di credito nella vita aziendale?

A mio avviso nel momento in cui il legislatore, con la riforma della crisi d’impresa, chiede all’imprenditore di garantire l’equilibrio economico, patrimoniale e finanziario dell’impresa nonché la sua continuità, non sta facendo altro che chiedere il buon governo dell’impresa stessa, traducibile in una sana gestione che riesca ad autofinanziarsi! Se un’azienda con costanza si autofinanzia è certamente un’azienda in equilibrio e che non teme alert di nessun tipo. Null’altro da aggiungere.

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