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Il Commercialista ed il piano industriale: discutiamo prima un po’ di logiche produttive

Si parla molto di controllo di gestione e di crisi d’impresa, soprattutto in merito alla figura dell’esperto all’interno della composizione negoziata ed al consulente relativamente il piano industriale finanziario da andare a definire, di concerto con l’imprenditore. Credo però sia opportuno prima trattare meglio alcuni aspetti legati alla produzione, così da riuscire ad interpretare in modo corretto quelle che dovrebbero venire ad essere le iniziative industriali da declinare poi nel piano. Ritengo opportuno riportare la mia esperienza con un cliente operante nel settore caseario. Nel corso degli anni ho sempre combattuto il modo in cui gestiva la produzione. In sostanza tendeva e tende ad avere una grande varietà di codici prodotto, alcuni particolarmente “fastidiosi” da realizzare, in quanto è richiesta una elevata componente di manualità. Mentre scrivo penso ad un certo tipo di latticino che tutti voi sono certo conoscete, il nodino! Al momento che mi risulti non esiste macchinario per annodare la pasta in quel modo, ciò significa che dopo la formatrice/filatrice, non c’è uno stampo che vada a creare il singolo pezzo (come succede ad esempio per la scamorza), ma la pasta filata dev’essere annodata a mano (stesso discorso per le trecce). Tempi biblici richiesti e grande manualità, unita ad una bassissima produttività mi portavano a combattere questo tipo di produzioni in quanto poi vendute ad un prezzo pari a quello delle altre referenze relative alla stessa famiglia dei freschi (ma a costi di trasformazione decisamente superiori).

Il tempo passa ed una sorta di antipatia per questo enorme listino, fatto da oltre 80 referenze caratterizzanti tra l’altro una decina di famiglie (troppe a mio avviso per un’aziendina da poco più di un milione di fatturato), cresce e si alimenta anche grazie a tutta una serie di dati poco confortanti, legati appunto alla mancata efficienza. Di snellirlo? Manco a parlarne…la risposta sempre la stessa: “…e poi se manca il prodotto alla cliente dei miei supermercati cosa dico?”. Ad essere sinceri non era tanto il discorso legato al prodotto “nodino”, lì bastava ridurne la produzione e, al limite alla domanda (di clienti e/o padroncini presso la distribuzione di proprietà) “voglio qualche kg di nodino…” si poteva sempre rispondere: “è finito!”. Il problema che cercavo di affrontare era questa miriade di micro lotti che giornalmente venivano prodotti, portando i tempi effettivi di produzione (quelli che per intenderci creano valore) ad essere una piccola parte dei tempi totali di produzione. L’idea era quella di creare il giusto numero di referenze, all’interno di un minimo numero di famiglie prodotto per tendere all’incremento dell’efficienza e contestualmente all’ottimizzazione dei costi. Battaglia combattuta contro i mulini a vento.

Sempre nel corso degli anni ho poi approcciato alle logiche lean. La più contro intuitiva di tutte (e davvero quella più difficile da digerire) è certamente l’heijunka. L’idea di fondo è quella di mixare il più possibile la produzione nell’arco anche di una giornata, arrivando addirittura a ripetere la creazione di uno stesso codice prodotto più volte in un giorno. Quindi a grandi (e pochi) lotti prodotti nell’arco di una settimana, si contrappongono micro lotti da ripetere nell’arco di uno o due turni…caspita mi sono chiesto: “e dove ci guadagno?”. Bene, i vantaggi sono i seguenti:

  • Magazzini bassi: piccoli lotti vengono consumati in un lasso di tempo molto più breve, caratterizzando appunto bassi volumi immagazzinati sia di materie che di prodotti finiti
  • Risorse da acquisire: piccoli lotti corrispondono a poco materiale da richiedere ai fornitori
  • Picchi di richieste di mercato: certamente meglio gestibili grazie ad una frequenza più alta di tipologie prodotte
  • Carenza di materiale: in caso di ritardo di materiale si passa velocemente alla produzione successiva.

Allora il mio cliente, senza saperlo stava facendo le cose fatte bene? Come logica forse si, ma ci sono dei “però”…(c’è sempre almeno un però:)). Vediamo quindi quali sono i requisiti che il mio cliente avrebbe dovuto avere per parlare davvero di heijunka:

  • Flessibilità di operatori e macchine. Tutti devono sapere fare tutto e, nel caso di specie, devo ammettere che questo requisito era centrato in pieno (come d’altronde un po’ in tutte le piccole e micro aziende artigiane).
  • Qualità come requisito da mantenere. Produrre lotti grandi permette di mantenere un livello qualitativo più alto rispetto lotti più piccoli. In questo caso, come nel primo, il mio cliente forse perché da sempre abituato a produrre in questo modo, riusciva a mantenere standard qualitativi più che accettabili.
  • Fornitori disposti a scaricare giornalmente. Nessun problema sotto questo aspetto.
  • Tempi di setup molto rapidi, che giustificano lotti così piccoli.

L’ultimo punto è la nota dolente dell’eijunka. Il motivo per il quale un progetto del genere spessissimo fallisce (perlomeno nelle piccole realtà e per quella che è la mia esperienza) oppure non parte proprio. Il setup nel caso del mio cliente era ed è fatto in totale assenza di macchinari dedicati (automazione). Tutto viene implementato categoricamente a mano e la riduzione dei tempi, seppur in parte possibile, non è stata mai realmente affrontata dall’imprenditore stesso (es. progetto smed). Il motivo? Un minimo di schedulazione, almeno giornaliera, è richiesto. Produrre gestendo gli ordini che giungono con un lasso di preavviso pari ai 10 minuti sinceramente sovverte ogni logica di programmazione. Abbiamo provato a sensibilizzare i commerciali alla raccolta dell’ordine almeno il giorno prima per quello dopo, ma inutilmente. Più che i tempi direi i momenti di setup rimangono sconosciuti finché non si presenta la necessità del cambio di settaggio del macchinario. Questo è un grave problema che affligge molte delle aziende, soprattutto quelle alimentari. Se solo si riuscisse a ridurre anche del 20% il tempo di attrezzaggio, si otterrebbero enormi benefici in termini di compressione di quello che è il costo di trasformazione delle referenze a listino. Tutto ciò si tradurrebbe semplicemente in maggiore produttività, aumento della marginalità e contestuale ottimizzazione dei flussi monetari. Le soluzioni in fondo ci sono, basta sapere come affrontare i problemi ma soprattutto portare avanti i progetti di miglioramento senza abbandonarli alle prime difficoltà. Quanto appena trattato potrebbe a tutti gli effetti essere uno spunto per un miglioramento tecnico industriale da considerare in un eventuale piano, perché per quello che è il mio personale punto di vista, una valida iniziativa industriale non deve per forza di cose tradursi in un investimento di un nuovo macchinario piuttosto che nella realizzazione di un nuovo prodotto, ma può essere proficuamente caratterizzato anche dall’introduzione di tecniche produttive più performanti, che tendano ad ottimizzare i costi di trasformazione. In seno alla composizione della crisi d’impresa, per trattare con gli esperti e ricoprire correttamente la figura del controller a favore dei propri clienti, riprendiamo con il nostro corso “diventa un controller”, corso di Controllo di Gestione ove tratteremo come affrontare questi aspetti e tanto altro. Per la prossima data puoi cliccare qui.

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